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      Eretto il processo, Rinaldi confessò tutto, non mostrandosi punto pentito del suo misfatto, anzi affermando d’essere felicissimo di aver ucciso la moglie e i due bastardi che portava nel ventre. Condannato alla mazzolatura ed allo squarto, non volle conforti religiosi e morì stoicamente.
      XX.
      Il Corriere del Papa.
      Una mattina di dicembre, fredda ma bella, entrava in una osteria di Porto Recanati un uomo sui trentacinque, dalle forme atletiche, con lunga barba castano rossiccia fluente sul petto e lunghi capelli spioventi sulle spalle naturalmente inanellati; vestiva di velluto marrone alla cacciatora, con grandi stivali di pelle che gli salivano sin oltre il ginocchio; una larga cinta pure di pelle gli cingeva la persona e un fazzoletto di seta rosso il collo. Un cappello molle ad ampia tesa, gli ombreggiava il volto maschio ma bello, e sotto le folte sopracciglia dardeggiavano due occhi di falco, neri a volte, a volte gialli e iridescenti.
      Portava il fucile sulle spalle; ma non avea cani con sé. Dopo aver data una rapida occhiata nel primo ambiente del locale, passò nel secondo, e fece altrettanto, quando uscì dalla porta posteriore che dava sopra una stradicciuola deserta, un rezde-chaussée, come dicono i francesi, e guardò nella via.
      Finalmente rientrò, soddisfatto del suo esame, a quanto parve, poiché battendo sulla spalla dell’oste, che aveva seguito un dietro l’altro i suoi passi, gli battè famigliarmente sulla spalla dicendogli:
      - Oste di Satanasso, avrai bene da darmi da mangiare: ho una fame da arrabiato e ti assicuro che mangerei ancora la tua carcassa, se non m’avesse l’aria d’essere tigliosa, come quella di un vecchio caprone.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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