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      - L’altra è scarica - riprese a dire beffardamente il bandito - farete bene a seguire l’esempio del Corriere di Sua Santità e consegnarmela.
      Il viaggiatore che era stato qualificato per Corriere di Sua Santità, si era intanto rannicchiato nel fondo della carrozza, pronto a rendersi a discrezione, anziché correr l’alea di una pistonata, che gli squarciasse il petto onusto di decorazioni.
      Ma il conte di Lavello non pareva punto disposto ad imitarlo. Si lanciò puntando contro il masnadiero, facendo atto di afferrargli l’arma: ma un improvviso, fulmineo scarto di fianco dell’avversario, lo fece cadere supino al suolo. E per il dolore cagionatogli dallo aver battuto il petto ed il volto nei ciottoli, svenne.
      - Mi siete testimoni, che avrei potuto ammazzarlo e che gli faccio grazia, per rispetto alla Santità di Nostro Signore, che ne affidò i preziosi giorni al suo Corriere, - disse, sempre col suo piglio canzonatorio il bandito, mentre tratta dalla cacciatora che portava una funicella sottile, ma solidissima lo legava colle mani rovesciate dietro le reni, e ai piedi, dopo averlo trasportato sul ciglio della strada.
      Compiuta l’operazione, tornò alla sedia di posta e intimò al Corriere del Papa di scendere. Questi non si fece pregare, e fu legato pur lui. L’ultimo a subire siffatta operazione fu il cocchiere.
      - È una formalità, sai, - gli diceva intanto il bandito, una semplice formalità.
      Incominciò quindi la perquisizione della carrozza, che durò parecchio tempo. Terminata questa, passò il bandito alle persone de’ viaggiatori; i quali non poterono salvare nulla di nulla dalle sue mani rapaci.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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