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      Io l’appiccai la mattina del 12 luglio, senza che desse segno di alcuna emozione, né traversando la città stipata di gente sulle strade del percorso, né salendo il patibolo.
      La moglie lo seguì poche ore dopo, essendo stata sorpresa da violentissima febbre puerperale.
      XXIV.
      Un masnadiero di buon cuore.
      Il giorno 13 agosto del medesimo anno 1806, dovetti trasferirmi a Terracina per giustiziare due grassatori, Giuseppe Pistillo detto Fatino, e Giuseppe Chiappa, condannati all’impiccagione e successivo squartamento.
      Pistillo, godeva di una grande popolarità, perché era uno di que’ tipi di masnadieri simpatici, dei quali si sono create le leggende. Egli non incrudeliva mai contro le persone; se non vi era costretto da necessità di difesa non faceva mai uso delle armi. È vero che possedeva una forza erculea e due mani più salde e più stringenti d’una morsa. Se afferrava uno per il collo, quel disgraziato era tanto sicuro di rimanervi, quanto fosse capitato nelle mie mani, per essere trasmesso all’altro mondo. Non molestava mai i poveri viandanti, né i carrettieri. Egli si riservava soltanto gli affari grossi. Aveva un debole per le carrozze da viaggio signorili e per le corriere di posta. Quando capitava in qualche casa, o capanna contadinesca e chiedeva ricovero o vitto, era sicuro d’essere servito come un principe, perché pagava lautamente, se non al momento, alla prima occasione che gli fosse data di ritornarvi, ben provveduto di quattrini.
      Largheggiava anche in elemosine ai poveri. Si narrano di lui una quantità di aneddoti che fanno onore al suo cuore e tratteggiano magnificamente il suo carattere.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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