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      Ci vorranno almeno dieci anni buoni per risparmiare tal somma.
      - Non curarti di questo. Ci penserò io compensarmi.
      - La mia vita è vostra.
      - No, è della tua famiglia. Per che ora ti servono i sei mila scudi?
      - L’amministratore m’ha detto che verrà domani dopo pranzo cogli uscieri.
      - Sta bene: andiamo a dormire.
      Sul far dell’alba Giuseppe Pistillo lasciava la fattoria.
      La povera famiglia di Paolone, passò una giornata in ambascie inenarrabili. Il campagnolo s’era chiuso in un impenetrabile silenzio. Solo di tratto in tratto domandava che ora fosse.
      In punto a mezzogiorno fu annunziato l’arrivo di un cavallaro che chiedeva del padrone.
      Paolone gli mosse incontro sfavillante di speranza e di gioia.
      Pistillo aveva mantenuto la sua parola. Il cavallaro rimise al campagnolo un grosso involto, dicendogli:
      - Da parte di chi sapete.
      Quindi, voltato il cavallo, scomparve.
      Paolone salì coll’involto nella sua camera e chiusosi dentro l’aperse.
      C’erano tremila zecchini d’oro.
      Il povero campagnolo, cadde ginocchioni e piangendo come un fanciullo, ringraziò la divina provvidenza.
      Si trovava ancora in quello atteggiamento, quando venne bussato alla porta.
      L’affittaiolo aperse e si trovò faccia a faccia colla moglie, che lagrimando gli annunziò la venuta dell’amministratore, di un usciere e due testimoni.
      - Siamo perduti! Siamo perduti! esclamava la disgraziata donna - Poveri figli miei!
      - Siamo salvi - disse Paolone - mostrandole l’oro, cacciando le mani nel quale trovò un biglietto manoscritto che diceva:
      «Trattieni l’amministratore e i suoi quanto più ti è possibile.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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