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      Giuseppe Brunelli si passò la mano sulla fronte madida di sudore. Il sangue gli martellava le tempie. Una voce gli diceva: «Uccidi questa vipera che ti avvelena, che ti conduce all’infamia.» Ed era la voce della coscienza, la voce del dovere. E un’altra voce gli diceva: «Consenti: in fin de’ conti, non è tua moglie; il tuo onore non ne soffre. Potrai sempre staccartene, se ti ispirerà disgusto.» Ed era la voce della passione brutale.
      Margherita, con quella perspicacia profonda che è tutta della donna innamorata, comprese di primo acchito la lotta che si combatteva nell’animo di Beppe. E nuovamente abbracciandolo con tutto il trasporto, gli mormorò:
      - Se non vuoi, moriamo. Moriamo subito.
      Poi correggendosi:
      - Subito no. Godiamo un’altra notte d’amore, prima.
      La ragione di Brunelli vacillava in quegli amplessi. La coscienza perdeva ad ogni istante terreno: e la foia erotica lo guadagnava.
      Perdere una donna che lo amava così? Rinunziare a quelle ineffabili ebbrezze? Affrontare l’ignoto? Perché? Per un pregiudizio. Che gli caleva, se un altr’uomo gioisse di lei, quando era certo che ella non ne avrebbe divisi i godimenti?
      - Se acconsentissi, - mormorò - tu mi sprezzeresti?
      - Ti adorerei, se è possibile, più di quanto ti adoro, perché il sacrificio che faresti, mi sarebbe una prova del tuo affetto.
      - E quest’uomo?
      - C’è.
      - Ti sei già data a lui?
      - Mai.
      - Ti ha fatto delle proposte?
      - Mille volte.
      - E le hai respinte?
      - Sempre.
      - Giuralo per la memoria di tua madre, di tuo padre, per quanto hai di più sacro.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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