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      - Nulla, qualche lepre, od altro selvatico...
      Non terminò la frase, perché due uomini sbucati dietro la fratta si gettarono sopra di lui e lo buttarono a terra, prima che potesse rinvenire dalla sorpresa e porsi sulla difensiva.
      Il più accanito era il più anziano. Non aveva quasi più aspetto umano, tanto l’odio che gli gonfiava il petto lo aveva trasfigurato.
      Inginocchiato sopra il giovane lo teneva colla sinistra afferrato per il collo, e colla destra gli vibrava coltellate su coltellate. L’altro assalitore, pur ansioso di colpirlo, teneva il coltello sollevato sopra l’infelice e studiava il posto in cui ferirlo. La donna si cacciava disperata le mani nelle chiome, non sapendo decidersi, né a far cessare quella carneficina, né a fuggire.
      Aveva riconosciuto Beppe e il macellaro e sopraffatta dallo spavento, pareva attendesse a sua volta la morte, conscia d’averla meritata.
      I due assassini non tardarono molto a rialzarsi. Sfogata la libidine del sangue, saziata la sete di vendetta, essi compresero che dovevano provvedere alla loro salvezza.
      Beppe le si avvicinò, e presala per una mano, mentre essa faceva con ambedue schermo alla vista, la trascinò innanzi al cadavere dell’ucciso amante, e gli disse:
      - Bada bene! Questa fine faranno tutti gli amanti che arrischiassi di prendere. Quanto a te, ben altro ti aspetta, se osassi fiatare su quanto hai visto.
      Il macellaro s’era frattanto recato il cadavere sulle spalle e disse a Beppe:
      - Andiamo a seppellirlo.
      - Vattene! - intimò il Brunelli a Margherita - e se qualcuno ti interrogasse, mozzati la lingua coi denti, piuttosto che parlare!


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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