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      Posto a confronto anche con costui, Beppe Brunelli negò tutto e trattò l’oste da pazzo. Intanto era stato arrestato anche Agostino Paoletti, perché dalle investigazioni fatte risultò che egli aveva una tresca con Margherita, della quale il Brunelli doveva essere informato e consenziente. Così l’istruttoria pervenne a ricostruire il dramma. Anche il macellaio fu condotto innanzi alla pazza e questa appena lo vide si rizzò a sedere sul letto, sul quale si trovava, e fulminandolo collo sguardo, che aveva ripreso in quel momento tutti i suoi bagliori, gridò:
      - Assassino! Assassino!
      Quindi ricadde riversa sul letto.
      Ma le prove indiziarie per quanto schiaccianti non bastavano, né poteva valere l’asserzione di una demente.
      Si dovette ricorrere ad uno stratagemma. Si fece credere al Brunelli che il macellaro aveva tutto confessato. E siccome l’istruzione aveva assodato i fatti, il colpo riuscì magistralmente. Beppe dopo lunghe tergiversazioni, finì per fare una confessione ampia del delitto, precisandone i particolari. E alla sua tenne dietro quella del Paoletti.
      Fu un trionfo per i giudici che avevano condotto innanzi il processo. E la condanna alla forca per entrambi, non si fece aspettare. Io la eseguii, come dissi, la mattina del 6 luglio, con grandissimo concorso di gente, che restò ammirata dal contegno dei due delinquenti, i quali chiesero ed ebbero i religiosi conforti e morirono da buoni cristiani, senza spavalderia e senza viltà. L’eco del processo si ripercosse da un capo all’altro d’Italia.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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