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      I birri lo avevano trovato bocconi sul lastrico in un lago di sangue che gli usciva gorgogliando da una ferita alla gola e da un’altra al petto in direzione del cuore. Doveva essere stato colpito da pochi minuti. Lo sollevarono e l’adagiarono a sedere sul marciapiede, appoggiandogli le reni al muro; ma non si reggeva e non dava alcun segno di vita. Bussarono tosto al portone innanzi al quale era caduto. Accorse il portiere, aprì ed informato del fatto, uscì fuori con un lume e tosto riconobbe il morto, esclamando:
      - Don Enrico!... Povero don Enrico!
      Poi aggiunse:
      - Ma già la doveva finire così. Benedette donne.
      - Lo conoscete dunque? chiesero i birri.
      - Altro che conoscerlo! È il figlio del padrone di casa.
      - Credete che sia stato grassato?
      - Ma che grassato, non vedete che porta gli anelli alle dita e la catena d’oro al panciotto?
      Era infatti così.
      Gli frugarono in tasca e gli trovarono la borsa, con molti zecchini e scudi dentro e un medaglione d’avorio colla miniatura d’una bellissima fanciulla, montato con gran lusso e fregiato di brillanti.
      L’ucciso venne portato nel camerino del portinaio, con ordine di non toccarlo, prima che fossero giunti gli inquirenti. E i birri un po’ tardi, se si vuole, ma pur sempre in tempo, si lanciarono fuori del palazzo per vedere se trovavano traccia dell’assassino.
      Lo incontrarono infatti a via Florida a pochi passi soltanto del delitto, appoggiato ad una parete della strada e precisamente sotto un lampione, per cui dalle macchie di sangue che aveva sul vestito, dal pugnale che teneva fra mani lo riconobbero subito.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





Enrico Enrico Florida