Pagina (128/421)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

     
      Per parecchi giorni si mantenne nel suo mutismo assoluto, e in quello stato di accasciamento nel quale era caduto subito dopo che fu commesso il delitto.
      Né le lusinghe, né le minaccie avevano potuto nulla sopra di lui. Il giudice si disperava per non potere trovare un mezzo di scuoterlo.
      Finalmente il quinto giorno, non appena se lo vide comparire innanzi gli disse:
      - Francesco Perelli, voi non siete né un ladro, né un volgare assassino. Noi abbiamo in gran parte assodato il movente del vostro delitto. Questo ritratto che è stato scoperto in tasca alla vittima, ci servì di filo conduttore per le indagini.
      Il delinquente pareva uscisse, man mano che il giudice parlava, da quello stato di semistupidità, in cui era da tanti giorni immerso: ascoltava con attenzione il suo interlocutore e negli occhi gli balenavano l’intelligenza e l’odio.
      Il giudice gli porse il ritratto, dicendogli: - Guardate, un po’, Perelli, se lo riconoscete?
      L’accusato afferrò il ritratto, gli diede una occhiata rapida e proruppe in un grido:
      - Mia sorella!... L’infame!
      - Vostra sorella, precisamente - rispose il giudice assecondandolo. Quindi, provando ad indovinare, riprese:
      - Don Enrico era il suo amante?
      - Il suo seduttore, dite il suo iniquo seduttore; la causa del suo disonore e della mia rovina.
      - Calmatevi e narratemi i particolari di questa seduzione. Badate d’essere sincero e leale; non vi lasciate acciecare dall’odio. La verità, la verità sola può salvarvi.
      Francesco chinò la testa e due lagrime cocenti gli irrigarono le gote.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





Perelli Perelli Enrico