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      Le fanciulle e le mamme ne erano invidiose, i giovani innamorati. E questi si davano convegno alla chiesa di Santa Cecilia, dove soleva recarsi ad ascoltare la messa.
      Né trascuravano di passare innanzi al portoncino della sua casa, ove ne’ giorni feriali soleva trattenersi a lavorare, come le altre donne e ragazze della via, per meglio godere l’aria e la luce.
      Sull’imbrunire di una calda ed afosa giornata estiva, Virginia rimarcò un giovanotto, dall’ardito portamento che passava e ripassava per via de’ Vascellari, guardandola e riguardandola fissamente, e con aperta intenzione di richiamare la sua attenzione.
      La sua persona alta e slanciata, il suo bel viso ovale e bruno pallido, sul quale spiccavano maggiormente il nero della barba morbida e gentile, e sopratutto il suo occhio a volta languido a volta fiammeggiante, non parevano nuovi alla Virginia. Le sembrava di averli veduti altrove; ma i ricordi le si confondevano nella memoria.
      La fanciulla soleva in quell’ora andare incontro al fratello verso San Francesco a Ripa, da dove poi si recavano in qualcuna di quelle osterie adiacenti a fare un po’ di cena ed a godersi il fresco.
      Quella sera esitava. Aveva paura che il giovane imprudente la seguisse. Ma alla finfine si decise: si buttò sulle spalle lo scialletto nero, ed uscì chiudendo la porta dietro di sé. Si guardò intorno un momento e non vedendo il giovane, come temeva, svoltò il vicolo de’ Salumi, affrettando il passo. Ma non appena giunta a piazza Romana se lo vide venire innanzi.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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