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      Ne provò un certo sgomento non disgiunto da un’ombra di piacere, un’ombra.
      - Perdonate Virgina, le disse il giovane con fare sciolto, se vi fermo per la strada. Ma ho bisogno di parlarvi.
      - Non vi conosco - mormorò arrossendo la fanciulla.
      - Appunto perciò: se non vi parlassi non mi conoscereste mai.
      - Che avete a dirmi? Parlate, sto ad ascoltarvi. Ma spicciatevi, perché mio fratello mi aspetta.
      - Il luogo non mi pare molto acconcio. Ma poiché lo volete sia così. Se permettete vi accompagnerò per un pezzetto di strada.
      - No, no, io vado sempre sola.
      - Né io intendo distogliervi dalle vostre abitudini. Ma per questa volta concedetemelo. In seguito poi combineremo diversamente.
      - In seguito? - domandò Virginia trepidante, avviandosi col bel giovane allato.
      - Sì, in seguito, Perché il nostro colloquio non sarà che il primo.
      - Spiegatevi meglio.
      - Nulla di più facile. Io vi amo, Virginia, e dovete esser mia.
      - Ma io non voglio lasciar solo mio fratello, che mi ha levata sin da bambina, quando morirono il babbo e la mamma.
      - Non c’è bisogno di lasciarlo, almeno per il momento. D’altronde chi vi dice che egli pure non si sacrifichi condannandosi al celibato per non lasciarvi? È un giovanotto e un amore l’avrà anche lui.
      Questa riflessione che la fanciulla non aveva mai fatto, la scosse profondamente. Ella comprese subito la ragionevolezza della cosa e pensò: Perché non potremmo maritarci entrambi: la famiglia è dopo tutto lo scopo della vita. Da quel momento non fu più spiacente dell’incontro col giovinotto e gli prestò più facile orecchio.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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