Pagina (145/421)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

     
      Si seppe poi che la stessa destrezza aveva nello sbarazzarsi dei viaggiatori che aggrediva. Appoggiato all’aforismo che i morti generalmente non parlano, per non essere denunziato, aveva contratta la poco lodevole abitudine di scannare i suoi aggressi e di seppellirne gli avanzi nelle macchie. Era un metodo molto spiccio per assicurarsi l’impunità e insieme il libero esercizio della professione di bandito, che egli aggiungeva a quella d’oste e di sicario.
      Sull’imbrunire di una giornata di gennaio capitarono all’osteria del Carlo due cacciatori stanchi e trafelati. Avevano corso tutta la giornata, e portavano i carnieri gonfi di starne e di beccaccie. Uno era anziano, colla barba intera bianca, l’altro giovane senza un pelo sul volto, ma entrambi aitanti della persona, allegri e disinvolti nel portamento.
      - Padron Carlo - disse il vecchio entrando - hai di che rifocillarci?
      - Non roba degna delle signorie loro, ma qualche cosa c’è - rispose ossequiosamente il Castri, togliendosi il berretto di cotone bianco che portava.
      - Sentiamo, che hai? - disse il giovinotto.
      - M’ero messo a cuocere un’ora fa una gallina, che aveva perduta l’abitudine di farmi le uova.
      - Non sarà troppo tenera - osservò sorridendo il vecchio.
      - Ma ci fornirà una buona tazza di brodo - osservò il compagno.
      - Hai ragione Gustavo.
      - Ci butterò quattro capellini all’uovo che avevo preparato per la mia cena.
      - Benissimo.
      - Poi ammazzeremo un paio di polli e li faremo andare in padella.
      - L’idea non è cattiva.
      - Poi? - domandò di nuovo l’imberbe cacciatore, tormentato da una fame canina.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





Carlo Carlo Castri Gustavo