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      - Alla fine de’ conti è roba che un giorno o l’altro ti deve appartenere.
      - Più tardi che sia possibile.
      - Grazie, nipote mio, dell’augurio, che lo tengo sincero. La mia cassa, del resto, ti è sempre aperta.
      XXXVII.
      Doppio omicidio - Il delirio del terrore.
      In quel mentre riapparve l’oste, il quale aveva veduto lo scambio delle monete e calcolato quanto potevano contenere le due borse:
      - Se i signori desiderassero riposarsi qui, disse umilmente il Castri, ho un buon letto, ci metterò della biancheria di bucato e io dormirò qui su di una panca.
      Gustavo consultò lo zio con un’occhiata prima di rispondere. Il cacciatore anziano si accostò alla porta e vide che il cielo era terso e biancheggiante per la luna.
      - No, grazie, padron Carlo. Vogliamo tornare a Roma questa sera. Il tempo è bello. Fa freddo, ma siamo ben coperti.
      L’oste si inchinò.
      - Il conto? domandò Gustavo.
      - Oh! ben poca cosa. Facciano il piacer loro.
      Il cacciatore anziano tirò fuori un’altra volta la borsa, ne trasse due zecchini e li buttò sopra un piatto rimasto sulla tavola.
      - A voi, padron Carlo. Teneteci sempre riservato un bicchiere di vino, come quello che ci avete ammannito stasera. È veramente buono.
      - E il signor Iddio li indirizzi spesso da queste parti, rispose l’oste, i cui occhi brillavano di cupidigia.
      Sciolti i cani, i cacciatori uscirono colle carabine ad armacollo e si misero per un sentiero traversale che dopo aver serpeggiato per buon tratto, scende verso l’Arco Oscuro.
      Ma avevano fatto non più di un centinaio di passi che uno dei cani emise un gemito acuto e cadde al suolo; l’altro non tardò a fare altrettanto.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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