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      - Che hanno queste bestie?, domandò colto da un vago sospetto l’anziano, e si chinò verso le due povere bestie che si erano trascinate verso un cespuglio e non davano più segni di vita.
      D’un tratto rintronarono due colpi di fucile nella solitudine della notte e i due cacciatori cadevano esamini accanto ai cani. Erano stati colpiti entrambi in pieno petto e quasi a bruciapelo, dal fucile di Carlo Castri, nascosto dietro una siepe, alla quale era giunto prima di loro, per un sentieruccio scosceso.
      Il brigante balzò fuori non appena li vide caduti e con due coltellate li finì. Poi caricatiseli un per uno sulle spalle, li trasportò nella macchia vicina, altrettanto fece dei cani, che aveva avvelenati prima dell’uscita dei cacciatori dalla sua osteria.
      Scavò rapidamente una fossa e vi gettò i due cani ricolmandola tosto col terriccio; poi s’accinse a fare il medesimo coi due cadaveri, che aveva spogliati nudi, per non perder nulla di quanto era di loro proprietà.
      Nella chiarezza del plenilunio la fisonomia dei due assassinati aveva assunto agli occhi dell’oste un carattere strano, minaccioso. Egli era invaso da un panico che non aveva mai provato in vita sua.
      Cercava di forzare nella fossa non abbastanza profonda le due teste dei cacciatori, ma queste pareva che balzassero fuori, come mosse da un’interna susta.
      La tramontana faceva stormire le fronde degli alberi e a Castri sembrava che quello fosse un suono di voci confuse avvicinantesi a lui. In breve fu in preda al delirio del terrore.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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