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      In quel mentre s’udì nella folla, ancora nelle prime linee, un grido acuto, straziante, e si vedeva cento braccia, sollevare una giovane donna che pareva svenuta. Poco dopo si seppe che era morta per lo scoppio di un aneurisma.
      XXXIX.
      I briganti della Faiola.
      Come mai era avvenuto l’arresto di quella famosa banda di briganti, che avendo per base delle sue operazioni e il ricovero abituale, quasi inaccessibile, nella macchia della Faiola, aveva per tanto tempo desolati i dintorni di Roma e dei Castelli fino oltre Velletri, aggredendo viaggiatori, corriere pubbliche, diligenze, vetture private, operando sequestri di persone e ricatti d’ogni maniera?
      Un terribile dramma, ch’ebbe il suo epilogo ai piedi del patibolo, la mattina del 18 maggio, può solo spiegarlo. Forse, senza esso, né Vincenzo Bellini, né i suoi avrebbero mai salito le forche pontificie.
      Eccolo.
      Il governo, scosso dalle continue lagnanze che gli giungevano dalle potenze estere per le pessime condizioni della sicurezza pubblica nei dintorni di Roma, che mettevano a repentaglio la vita e gli averi dei forestieri, come e più di quella dei cittadini, si era deciso ad intraprendere una campagna brigantesca, ed a condurla con la massima energia. Furono ordinate pattuglie di soldati, guidate da esperti agenti, cogniti dei luoghi e rotti a tutte le malizie dell’arte malandrinesca e fu dato come per obbiettivo principale il bosco della Faiola.
      La macchia fu perlustrata palmo a palmo, senza alcun risultato, e già stavano le pattuglie per rientrare a Roma a dar conto della loro inutile spedizione, quando un giorno uno dei segugi che accompagnavano birri e soldati, guardando per terra casualmente, vide delle ossa di pollo rotte e spolpate.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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