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      Egli non voleva che sua moglie accudisse ad altro che alla casa; le inibiva assolutamente le fatiche campestri, perché temeva che il sole avesse a sciupare la freschezza della sua pelle bianca e vellutata, a rendere dura la dolce linea delle sue spalle rotonde e delle sue braccia flessuose, di quelle braccia, i cui amplessi lo facevano delirare.
      I migliori bocconi del pranzo e della cena erano per lei; pur vestendo il costume del paese i suoi abiti erano i più fini ed eleganti; la sua casa, per quanto villereccia, era pulita e fornita di tutto l’occorrente. Aveva un magnifico letto a spalliere di legno castano coi sacconi di foglie di panocchie di mais, materassi di buona lana e di finissima piuma, coltri morbide, lenzuoli di tela candida e una ricca coperta di broccato.
      Era l’ara dove celebrava i suoi riti coniugali e aveva voluto che fosse degna della sua dea e delle ebbrezze che gli procurava.
      Gioacchino De Simoni era aitante di persona e di simpatico aspetto. Prima di sposare la Cencia una diecina di fanciulle avevano sospirato per lui, e ammogliato invidiavano la fortuna toccata alla donna che l’aveva sposato.
      Ma è raro il caso che marito innamorato non sia marito ingannato. I sacrifici che fate per una donna essa non li considera che come un tributo dovutole; essa aumenta il concetto di sé medesima e cresce per conseguenza le sue pretese in ragione dell’affetto che le portate.
      Gioacchino non aveva minuto libero che non fosse a lei consacrato. Ma questi minuti erano scarsi, perché l’innamorato giovane lavorava sempre per far lieta e gioconda la vita della sua donna.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





De Simoni Cencia