Pagina (164/421)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

     
      Saverio aveva per moglie una donna buona, lavoratrice, assidua ed economa, di non sgradevole aspetto e di discreto personale, di nome Giacinta Pozzuoli, la quale sentiva per lui, più che amore, una vera venerazione, e n’era da lui contracambiata, se non con pari intensità ed ardore, con sincero affetto. Ma il suo temperamento sensuale lo portava spesso in braccio d’altre donne, colle quali però non contraeva vincoli permanenti. Erano sfoghi, più che altro, della esuberante sua vitalità.
      Del resto non aveva mai alzato gli occhi sulla contessa sua padrona, per la quale aveva la più grande soggezione benché sapesse che non era certo nata in un letto sormontato dalla corona comitale.
      Una fredda sera di autunno Saverio, entrando a prendere gli ordini della sua signora, per l’indomani, prima di ritirarsi, la trovò sdraiata su una poltrona, innanzi al caminetto, coi piccoli piedi bianchi ed ignudi calzati da babuccie di velluto rosso ricamate in oro. Indossava una vestaglia di casimiro bianco soppannata di raso rosso, chiusa alla cintola da un cordone d’oro. Aveva la bruna capigliatura raccolta disordinatamente sulla sommità del capo tenuta ferma da uno spillone pure d’oro. Nessun’altro ornamento, né alle orecchie, né alle mani, né alle braccia che uscivano nude dalle ampie maniche della vestaglia, la quale aperta anche sul seno lasciava scorgere la candida gola, il principio di un seno torreggiante, coperto a mezzo dalla camicia di battista smerlettata, che colle sue trasparenze, rendeva più seducente.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





Giacinta Pozzuoli Saverio