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      La faccenda era andata come mi faccio a narrare.
      Agostino Del Vescovo era un giovinotto dedito ad ogni maniera di vizi; giocatore, ubriacone e maniaco per le donne, s’era sciupato i quattrini che aveva ereditato da suo padre, senza mai pensare a dedicarsi ad un’arte o ad una professione purchessia. Restato al verde visse, un po’ di tempo contraendo debiti d’ogni parte. Ma venne il giorno in cui non trovò più credito e la sera si coricò senza aver rotto il digiuno. A ventre vuoto non si dorme bene e Agostino passò la notte insonne, ma non infruttuosa; non infruttuosa perché meditò profondamente ciò che gli tornasse conto di fare.
      Alla mattina appena levatosi andò in una chiesa vicino al suo domicilio e trovò modo di aprire la cassetta per le elemosine, donde trasse di che vivere per parecchi giorni. Ma non per questo lasciò la chiesa. Con franchezza e sangue freddo ammirabili, vi si fermò ed ascoltò tre o quattro messe, inginocchiato colla maggior compunzione innanzi all’altar maggiore. All’indomani ritornò e così per una settimana di seguito, a capo della quale dovette ripetere la ripulitura della cassetta delle elemosine, perfettamente riuscitagli. Quel giorno si confessò e si accostò alla mensa eucaristica.
      La sua devozione incominciò ad essere notata, ma neppure il più piccolo sospetto cadde sopra di lui. Allora domandò il permesso di servire la messa e in breve diventò il chierico più influente della parrocchia. Fra i celebranti c’era un buon prete che viveva solo ed aveva preso a simpatizzare col Del Vescovo.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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