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      Il giorno susseguente, 14 gennaio, mi recai alla vicina Loreto, per tagliar la testa a un grassatore, Ambrogio Piscini; un altro ne decapitai il 23 febbraio a Perugia, in persona del malandrino Antonio Galeotti. E finalmente il 13 aprile ripresi le mie esecuzioni in Roma, tagliando la testa ad Andrea Emili, parricida, sulla piazza del Popolo.
      Era costui figlio di un agiato massaio di Rocca Priora, uomo robustissimo benché innanzi negli anni, di forme erculee e d’animo deliberato. Benché possessore di molte pertiche di terreno, lavorava pur egli col figliuolo alla campagna e faceva pure il boscaiolo. La moglie gli era morta da parecchio tempo, e padre e figlio vivevano soli, e senza donne la casa non poteva andar bene, perché le serve, prese lì per lì, nuocciono più che non giovino.
      Antonio Emili, disse un giorno al figliuolo:
      - Andrea, così non si va più avanti.
      - Perché?
      - Non vedi che manchiamo di tutto? Si viene a casa alla sera e non c’è mai nulla di pronto per la cena, e bisogna andarsene all’osteria. A mezzogiorno lo stesso. La festa non si trova la biancheria allestita. Se per caso ci avessimo ad ammalare non avremmo un cane per curarci.
      - Che ci posso fare io?
      - Ci puoi far molto.
      - Niente niente mi ho da mettere a fare il bucato ed a cuocere fagiuoli?
      - Non dico questo...
      - E che dunque?
      - Prendi moglie. Ormai sei presso a venticinque anni; è tempo di decidersi.
      - Dove la piglio?
      - Sciocco! Bisognerà dunque che ti provveda io anche la ragazza.
      - Non vi date questa pena.
      - Ne parlerò al curato.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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