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      La relazione amorosa dei due giovani incominciata sotto così felici auspici progredì rapidamente; ma non varcò troppo i limiti del lecito e dell’onesto. Corrado avrebbe potuto avere la fanciulla in sua piena balìa, solo che lo avesse voluto. Ma la sua passione non andava disgiunta da calcoli profondi ed eminentemente pratici.
      Elsa era leggiadra, passionata, cara, ma la sua dote e le speranze dell’avvenire non mancavano di grandi attrattive. Possederla gli avrebbe procurato una soddisfazione deliziosa, ma passeggera. Condurla in isposa avrebbe invece assicurata, colla sua fortuna, una perenne felicità. Un’ereditiera milionaria, anche essendosi permessa di sfogare qualche capriccio, non avrebbe mancato di aspiranti alla sua mano. Bisognava diffidare dei suoi slanci, bisognava contenersi, bisognava trarla al punto di volerlo ad ogni costo per marito. I genitori l’amavano ed erano ricchi abbastanza per assicurare ad entrambi un’esistenza beata, una vita largamente signorile.
      La riservatezza di Corrado irritava sempre più la fanciulla. Mille volte gli si era gettata nelle braccia e mille volte egli l’aveva dolcemente, ma coraggiosamente respinta.
      - Io ti adoro come una santa - le diceva spesso - e per nulla al mondo verrei meno al rispetto che ti devo.
      Che orribile seccatura è mai il rispetto degli uomini per una fanciulla - diceva a se stessa Elsa, e aggiungeva forte: - Io vorrei essere amata da te, un po’ meno come santa, e un po’ più come donna.
      Corrado non rispondeva.
      Un giorno finalmente l’allieva disse al maestro: - Perché non mi chiedi in isposa a mio padre?


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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