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      - Lo voglio! Lo voglio! Non c’è padre Agostino che tenga! Lo voglio - gridò la fanciulla pestando i piedi. E se non me lo date mi ammazzerò.
      Questa crudele minaccia atterrì la povera signora.
      - Giusto Cielo! - esclamò. - Mi punisci di qualche colpa? L’affare è più grave di quanto pensavo.
      - Dunque?
      - Che vuoi che ti dica, Elsuccia mia, parlane tu stessa a tuo padre.
      - Devi farlo tu.
      - To!... Non mi lascierà finire. Lo conosco bene. Ti adora. Ma ha le sue idee di grandezza: vuol fare di te una principessa, una duchessa, una marchesa almeno. Su questo punto non transigerà mai.
      - Non è la ricchezza che forma la felicità di due sposi.
      - L’ho udito dire anche questo; ma ci credo poco. D’altra parte non è questione di ricchezza. Se ti fossi innamorata di un nobile, disperato come Giobbe, ma di grande casato, saresti certa di ottenere il suo consenso. Ha delle ambizioni tuo padre.
      - Se non diventerò contessa, diventerò moglie di un maestro celebre, come Rossini, come Morzat.
      - Non è pane pe’ suoi denti.
      - Insomma, mamma mia, se mi vuoi bene se desideri che io viva, fatti in pezzi per persuaderlo.
      - Mi proverò; ma senza speranza.
      LVIII.
      Gli effetti del rifiuto - Fuga progettata.
      L’effetto della missione assuntasi dalla signora Facenni fu che il suo consorte uscì dai gangheri, la trattò da mezzana e peggio, licenziò il maestro e ordinò a Giovanni di buttarlo dalle scale, se avesse osato di ripresentarsi.
      Quell’ordine fu per Binzaglia come una rivelazione. Egli aveva già notate le assiduità di Corrado, e le deferenze di Elsa per lui; ma non ci aveva dato soverchio peso.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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