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      - Lasciami, scellerato! - singhiozzava la fanciulla - lasciami infame!
      Ma la voce le restava nella strozza e sentiva venirle meno ogni forza di resistenza.
      Con un conato supremo tentò svincolarsi e non essendo riuscita cadde in deliquio, offrendosi così facile preda alla foia di quel mandrillo, che trasportatala sul letto ne fece orrido strazio.
      I rosei vapori dell’aurora incominciavano a diffondersi sull’orizzonte e penetrando la mitissima luce per la finestra della camera d’Elsa, disegnava le forme degli oggetti, quando questa ricuperò i sensi. L’accaduto di quella terribile notte le si affacciò alla mente, come un sogno. Ma la triste realtà le stava accanto nella persona del suo seduttore, il quale, supponendo svanite le sue collere, tentò di baciarla nuovamente e le disse:
      - È ora d’andarsene, non è vero piccina?
      Quella voce, che il Binzaglia si sforzava indarno di rendere tenera ed insinuante finì di scuotere i nervi della fanciulla disgraziata, la quale ricuperata tutta la sua energia, lo respinse, con voce soffocata dallo sdegno:
      - Mostro! pagherai il fio del tuo delitto.
      E stese la mano per afferrare il cordone del campanello. Giovanni ve la trattenne appena in tempo. Elsa volle allora chiamare aiuto e il domestico dovette chiuderle la bocca colla mano, per impedirle di gridare. Ma s’ebbe in breve a persuadere che non sarebbe riuscito a dominarla, perché si dibatteva disperatamente sotto le sue strette.
      Un solo modo di salvarsi, restava ormai al Binzaglia: ucciderla. E a questo egli volse tosto la mente.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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