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      Tutti i tentativi per indurli al pentimento ed alla confessione riuscirono vani. - Non abbiamo conto da rendere a nessuno: il nostro Dio sta in fondo alla nostra coscienza - rispondevano invariabilmente.
      Avevo avuto ordine da Monsignor Fiscale di far presto e i confortatori, a quanto credo, lo stesso. Quindi non si perdette altro tempo. Li legai solidamente ai polsi, perché avevano rifiutato di lasciarsi bendare, poi spinsi innanzi Angelo Targhini, che porse il capo sorridendo alla ghigliottina e in un secondo fu spedito. Leonida Montanari mi salutò beffardamente dicendomi: «Addio collega.» e fece poi come il Targhini e come il Targhini lo spedii al Creatore.
      Ci fu un subitaneo movimento nella folla; pareva volesse scoppiare un applauso. Ma la vista della forza armata la contenne e non si ebbe a deplorare il benché menomo incidente.
      LXII.
      La bella loretana.
      Quattro mesi e dieci giorni dopo, cioè il 16 settembre, eseguii un’altra decapitazione a Piazza del Popolo in persona di Giuseppe, quondam Biagio Macchia, un macellaro che aveva mazzolato la moglie. Dico mazzolato, perché veramente il mezzo adoperato da lui per ucciderla, somigliava precisamente alla mazzolatura. Su questo proposito posso dare il mio parere con una certa competenza.
      Aveva il Macchia sposata una loretana formosissima che attraeva a sé, per la rotondità pastosa delle sue forme, l’attenzione di tutti i giovani de’ Monti, ove egli teneva bottega. Ma nessuno aveva potuto ottener nulla da lei e la sua riputazione d’onesta donna s’era solidamente stabilita.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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