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      Ma continuava a mulinare progetti di vendetta. L’aveva con tutto il mondo, colla moglie, col principe, coi domestici, col Fiscale, e credo pure col Papa.
      Un giorno stava chiudendo la bottega, quando gli si presentò un giovane imberbe, che aveva tutta l’aria di un famiglio di casa signorile.
      - Sor Beppe? - chiese costui timidamente.
      - Sono io. Che volete?
      - Sono un uomo di scuderia del principe, in casa del quale vostra moglie fa da balia.
      - Ah! sì. Aspetta che t’acconcio io - urlò il macellaro - e corse in un canto per prendere il palo, con cui soleva sbarrare la porta posteriore del negozio.
      - Che fate? - domandò sbigottito il famiglio.
      - Niente, ti voglio soltanto accarezzare le spalle. E così potessi fare altrettanto col tuo padrone.
      - Fareste meglio ad accarezzare quelle di chi vi fa cornuto, strillò il giovane, balzando fuori dal negozio con un salto e soffermandosi in mezzo alla via.
      Il Macchia era diventato livido: il suo fegato secerneva tanta bile, che pareva volesse soffocarlo. Tuttavia riuscì a dominarsi: depose il palo e chiamò il famiglio così:
      - Eh! giovinotto scusatemi un po’. Mi fanno e mi son lasciato trasportare. Ora chiudo, se volete andremo a farcene una foglietta, qui da Zi’ Pippo.
      - Meno male! Siete diventato ragionevole. Vengo per rendervi un servigio, e un poco ancora mi accoppate.
      - Non lo sai che un uomo in furia diventa una bestia?
      - Me ne sono accorto.
      Giuseppe Macchia chiavò per bene la porta del negozio e infilato il suo sotto il braccio del famiglio, lo trascinò da Zi’ Pippo.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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