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      Bottiglie coperte dall’onoranda polvere del tempo, fiaschi dalla pancia tumefatta contenente topazi e rubini sciolti; un magnifico cappone fumante sulla scansia ed altri bipedi alati ed implumi, sulla credenza. I più deliziosi aromi impregnavano l’ambiente e vellicavano le nari del reduce merciaio, anco più deliziosamente di quelle dei due convivi.
      All’improvvisa comparsa di Domenico Valeri, il curato fece atto di alzarsi e le sue gote già rubizze, diventarono color di fiamma, ma Michelina lo trattenne con un delizioso moto della bianca manina ed un quasi impercettibile alzar di spalle.
      - Buon Menico, - disse poi - Sei tornato a tempo, il signor curato sarà ben felice di averti per commensale.
      - Certamente! Certamente! - borbottò il prete, benché temesse di non trovarsi completamente a suo agio.
      - Vieni qui - ripigliò Michelina - un’ala di questo cappone ti rifocillerà lo stomaco e ti preparerà a mangiare il resto di buon appetito.
      - Permette proprio, signor Curato? - domandò Domenico, con emozione, e prendendo la mano del reverendo e baciandola con gran rispetto.
      - Figuratevi.
      Man mano che la cena procedeva il curato smetteva il broncio e vista la compiacenza del marito, lo affogava di bere e mangiare. E intanto andava mulinando come avrebbe potuto liberarsi da quell’impiccio, rompendo il programma della sua serata.
      Michelina aveva messe lenzuola di bucato, acutamente profumate colla spazzetta, nel talamo nuziale, aveva mutate le fodere de’ guanciali e sarebbe stata una così bella occasione di passare una gioconda nottata.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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