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      Il merciaiolo invece non poteva chiuder occhio: aveva sempre dinanzi a sé la cassetta e la mano di Michelina, che rimuginava le monete d’oro.
      Passarono così lunghe ore. La testa di Domenico s’era mutata in un vulcano, gli martellavano le tempie, aveva la bocca e la gola arse dalla sete; pareva in preda ad un violento attacco di febbre. Ma a forza di volontà riuscì a dominare sé stesso, a riacquistare una tranquillità relativa ed a riordinare le sue idee.
      - Colle buone, pensava, io non riuscirò mai ad ottenere nulla da questa baldracca. Essa continuerà a spillar quattrini al prete e ad accumularli. Ma chi mi assicura che non verrà il giorno in cui, presa da una passione imperiosa per qualche giovane mascalzone, non si faccia mangiar tutto da lui? Chi mi assicura che quando si sarà fatta un capitale sufficiente a vivere in una comoda agiatezza, non mi mandi all’inferno, e se ne vada a vivere da sé? Così dovrei sopportare il danno e le beffe. No, bisogna sopprimerla. Tremila scudi di patrimonio li ha, un altro migliaio di scudi almeno valgono i suoi gioielli. Con questa somma un uomo solo può vivere senza affaticarsi, e godere. Aspettare più oltre sarebbe una pazzia.
      Entrato in tal ordine di considerazioni, il merciaiolo non si fermò. Formò un piano di guerra, confuso sulle prime, ma che andò man mano precisando ne’ più minuti particolari, colla riflessione.
      LXVI.
      L’assassinio e l’espiazione.
      Sull’albeggiare la moglie si svegliò: si sentiva la testa pesante e indolenzita, pei fumi alcoolici.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





Michelina Domenico