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      Contemporaneamente gli altri quattro si avvicinarono alle portiere, e quello fra essi che funzionava da capo, disse, levandosi con una mano il cappello, coll’altra brandendo il fucile:
      - Scenda, eminentissimo: non vogliamo farle alcun male.
      - È inutile - rispose il cardinale - prendetevi pure tutto ciò che abbiamo e non versate inutilmente sangue.
      - Non è la sua roba che ci preme - replicò il capobanda - non siamo ladri, siamo patrioti e vogliamo soltanto impossessarci della sua persona, che tratterremo in ostaggio.
      E siccome il cardinale pareva esitante, aperta la portiera lo afferrarono per le braccia onde trarlo fuori.
      Intanto il domestico era balzato in terra da cassetta ed aveva scaricato addosso ai banditi le pistole di cui era munito, disgraziatamente senza colpirli. Uno dei cospiratori che tenevano i cavalli, trasse pur lui una pistola che portava alla cintola e scaricandogliela nella testa, lo freddò.
      Il rumore degli spari fece accorrere immantinente una pattuglia di gendarmi, che perlustrava la pineta.
      Si impegnò tosto un conflitto a colpi di moschetto; due dei gendarmi caddero gravemente feriti. Una palla sfiorò la fronte del segretario che accompagnava il cardinale ed altre fischiarono alle orecchie di Sua Eminenza.
      Ma la forza ebbe in breve ragione degli aggressori, dei quali due soli, il capo e un suo luogotenente riuscirono a fuggire; gli altri quattro vennero solidamente legati e portati a Ravenna, dietro la carrozza del cardinale, che un’ora dopo rientrava trionfante a palazzo.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





Sua Eminenza Ravenna