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      Giunta ai piedi del patibolo, i giustiziandi scesero con un fermo passo, intrepidamente salirono uno ad uno sulle scale delle forche, e prima che il capestro stringesse loro il collo gridarono, con voce robusta, e priva di qualsiasi emozione:
      - Viva l’Italia! Abbasso il papato!
      L’esecuzione fu rapidamente compiuta. E io partii col mio aiutante la notte sotto buona scorta, perché era corsa voce che i carbonari volessero farci la pelle.
      LXVIII.
      Una forosetta eccentrica.
      Geltrude Pellegrini era la perla di Monteguidone, la perla e la stella insieme, perché alla virtù più scrupolosa accoppiava una bellezza incomparabile. Persona superba dalle forme slanciate e dense ad un tempo, capelli neri, morbidi, lucidi e lunghi per modo che quando li scioglieva sulle spalle, pareva avvolta in un peplo greco; occhi morati, pieni di languori misteriosi e di iridescenze abbaglianti; un profilo meraviglioso di purezza e di attraenza insieme; bocca sanguigna, denti bianchissimi, con lievi interstizi fra l’uno e l’altro, labbra tumidette e sensuali, pelle fine e vellutata, di quel bruno dorato pallido, che forma la disperazione dei pittori, incapaci a ritrarlo.
      Appartenente ad una agiata famiglia di massai, vestiva con semplice eleganza e gusto squisito. Quando la festa si recava in chiesa, gli angioli se ne innamoravano, diceva una leggenda; ma se non gli angioli, certamente tutti i giovanotti, i quali facevano ala al suo passaggio, all’entrata ed alla uscita, indirizzandole sguardi da incendiare i pagliai e sospiri da muovere le ali di un mulino a vento.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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