Pagina (250/421)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Infervorati nel discorso non se n’erano avveduti in tempo e fu ventura per loro di trovarsi vicino ad una grotta naturale, da Geltrude ben conosciuta, dove poterono ripararsi.
      In breve la pioggia diventò diluvio. Soffiava una raffica terribile che pareva volesse schiantare tutti gli alberi della selva. Le scariche elettriche si succedevano con rapidità spaventosa; talché v’erano dei momenti in cui il bosco pareva in fiamme.
      Accoccolati uno vicino all’altro sopra un pezzo di roccia, staccata dalla volta della grotta, dalla quale pendevano le stallatiti, bizzarre nella forma elegante, guardavano fuori l’imperversare del tempo senza sgomento; si sarebbe detto che assistessero ad uno spettacolo. E di tratto in tratto, si comunicavano le loro impressioni. Geltrude si sentiva invasa da un senso arcano, che le faceva scorrer dei brividi acuti e deliziosi nelle vene. Talvolta il bruno dorato della sua pelle acquistava dei toni caldi e i suoi occhi sfolgoreggiavano, come i lampi. L’aria satura di elettricità influiva sui suoi nervi.
      Enrico lo comprendeva, ma non tentava di approffittarne. Aveva preso sul serio quella relazione tutta spirituale e non voleva mutarle il carattere, o prolungandola acuiva maggiormente la passione fisica?
      Quando Dio volle l’infuriare del temporale cessò; la pioggia rallentò, tacque il vento e un iride superba stese il suo arco settemplice sulla volta celeste.
      - È passato - disse Geltrude sospirando e togliendosi a malincuore dal fianco del biondo cacciatore. Enrico non cercò di trattenerla, si alzò pur lui ed entrambi si affacciarono all’imboccatura della grotta.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





Geltrude Dio Geltrude Geltrude Enrico