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      Allora uno spettacolo nuovo si offerse loro. Innanzi alla grotta scorreva impetuoso e rumoreggiante un torrente d’acqua giallastra e limacciosa, travolgendo con sé rami d’alberi, massi di pietre ed animali.
      Si trattava di una inondazione in piena regola. Un corso d’acqua superiore gonfiato dalla pioggia aveva straripato e scendendo giù per la selva, aveva formato nella parte avallata quella specie di fiume improvvisato.
      Per riguadagnare la parte alta del bosco e la strada, era mestieri attraversare quel torrente; e non c’era tempo da perdere, perché le acque ingrossavano sempre più e il tramonto si avvicinava.
      - Bisogna uscire ad ogni costo - disse Enrico, non senza inquietudine.
      - Usciamo - rispose sospirando Geltrude, tentando di mettere il piedino fuori della soglia della grotta.
      Il cacciatore la trattenne appena in tempo.
      - Siete pazza esclamò - l’acqua arriverà già a quest’ora sopra le mie ginocchia, e la furia con cui scende vi travolgerebbe.
      - Non possiamo passar qui la notte - rispose gaiamente la fanciulla, inconscia del pericolo. Come fare?
      - Concedete che io vi trasporti sulle braccia attraverso il torrente.
      Per tutta risposta Geltrude con ingenuo abbandono passò il manco braccio attraverso al collo del cacciatore e appoggiò all’omero di lui la bellissima testa. Enrico la sollevò come una bimba e mosse i primi passi nel torrente. Ma il fondo era sdrucciolevole; l’acqua rapida e saliva molto più che egli non credesse. In breve sentì che non avrebbe potuto resistere alla furia e dovette ritornare indietro e posare sulla soglia della grotta il prezioso fardello.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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