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      - Impossibile! - esclamò.
      Ma oltre all’emozione prodottagli dalla situazione, Enrico si sentiva invaso da un’altro trasporto. Quelle morbide forme che egli aveva cullato nelle sue braccia poderose per alcuni istanti, l’alito soave di Geltrude che si era confuso col suo, il contatto dei loro capelli, lo avevano reso pazzo di amore, sentiva che lo trascinavano...
      E Geltrude rideva, rideva sempre.
      - Ma non sai, disgraziata, - gridò riaccostandosele e protendendole di nuovo le braccia, che siamo perduti?
      - Che importa se mi ami? - rispose collo stesso tono eccitato la fanciulla, in preda pur essa al fascino della passione. Un istante di felicità, non vale una vita stupida e noiosa?
      Enrico afferrò di nuovo Geltrude fra le braccia e stringendola disperatamente al seno le diede un bacio, sulle labbra, lungo, intenso, snervante. E fu quello il punto che li vinse.
      Fu un’orgia di amplessi frenetici, quella a cui i due giovani inebbriati si abbandonarono; un’orgia, nella quale la passione toccò lo zenit. Si credevano votati a morte sicura e volevano giungervi per un’agonia deliziosa.
      Un ultimo raggio di sole occiduo, traversando fra le fronde degli alberi penetrò nella grotta a svegliare i due innamorati dal loro delirio; si sciolsero simultaneamente dall’ultimo gagliardo amplesso e tornarono sul limitare del loro ricovero.
      L’imperverso torrente aveva smessa la furia della sua corsa, le acque erano discese a un bassissimo livello e fu agevole al cacciatore di attraversarlo, e di riguadagnare la strada della macchia, portando in salvo la fanciulla che aveva ripresa sulle sue braccia tuttora fremebonde.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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