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      Così si acquistò le simpatie universali e colle simpatie il rispetto e l’ammirazione. Avevano creduto di aver a che fare con una mezza contadina e si trovavano invece innanzi una persona non solo civile, ma dal portamento e dall’educazione quasi signorile.
      - Guarda un po’ com’è fortunato quel Toto - dicevano i suoi compagni - è già sulla quarantina e si è pescato un boccone da principe, onesta e virtuosa, quanto bella, ed esperta negli affari del negozio, come se ci fosse nata.
      Toto gioiva de’ trionfi di sua moglie e sentiva farsi sempre maggiore l’adorazione per lei. Un solo dispiacere provava, ed era quella di non aver figli. Attribuiva ciò alla ritrosia di Geltrude, ma si confortava dicendo: «Quel che non è venuto verrà.» E agli amici che per beffarlo gli domandavano se aveva bisogno d’aiuto, per assicurarsi un successore, rispondeva:
      - Provatevi pure, se ci riuscite.
      Tanta e tale era la fiducia che riponeva nella incontestata virtù di sua moglie.
      Aveva veramente dimenticato Geltrude il suo primo ed unico amore? Si era completamente atrofizzato il suo cuore? Si era spento quell’ardore del suo sangue, che l’aveva tratta a darsi così completamente ad Enrico?
      Lo vedremo.
      LXXII.
      Incontro inaspettato.
      Benché stabilito anche lui in Roma, la romantica innamorata del biondo cacciatore di Monteguidone, non l’aveva mai riveduto. E questo contribuiva alla sua tranquillità.
      Una mattina Geltrude se ne stava seduta nel fondo del negozio, quando la sua attenzione fu richiamata da un lontano salmodiare di voci, che si andava avvicinando e nel contempo vide la gente di fuori accalcarsi sui marciapiedi.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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