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      - Sora Geltrude vien meno, bisogna portarla nel negozio disse una bottegaia sua vicina.
      - Poveretta! È tanto buona. Non ha potuto resistere all’emozione.
      - Quando non si ha più coraggio di una gallina, si dovrebbe starsene a casa.
      Così si diceva intorno, mentre un forte giovinotto levandosela sulle braccia la trasportava in negozio.
      Lo svenimento di Geltrude portò un po’ di scompiglio nel corteggio e fu avvertito da coloro che lo formavano e segnatamente dal giovinotto biondo, che era stato designato per il vedovo marito, il quale parve assai commosso da quell’incidente e pur continuando a seguire il feretro dell’estinta, volgeva frequentemente il capo verso la bottega di Geltrude, finché gli fu dato di vederla.
      - È un conforto per chi soffre, veder diviso il proprio dolore sentenziò un rigido signore, rispondendo all’osservazione di taluno, cui sembrava strano quel contegno.
      Quando Toto tornò a casa, trovò la sua cara sposa adagiata sul letto, e circondata dai garzoni e dalle donne del vicinato, perché lo svenimento di Geltrude aveva quasi avuto le proporzioni di un deliquio. E le sue smanie non cessarono se non quando la vide pienamente ristabilita.
      Ma convien dire che l’impressione della donna fosse stata ben terribile, perché le lasciò in fondo una tristezza, che indarno cercava di vincere.
      LXXIII.
      L’appuntamento - Da capo.
      Passò così una settimana.
      Sull’imbrunire di un sabato Geltrude se ne stava sulla soglia della bottega, guardando la folla della gente che andava e veniva per un verso e per l’altro, quando i suoi occhi si fissarono sopra un uomo che fermo sull’angolo della via dirimpetto guardava intensamente il suo negozio.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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