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      Ella incominciava a sentirsi perduta, irremissibilmente perduta, e ne era sgomenta.
      - Impossibile! - mormorò rabbrividendo.
      - Perché impossibile?
      - Impossibile, ti dico.
      - Fole. Vattene in un albergo, colle tue valigie. Scrivigli una lettera, dicendogli che hai lasciato la sua casa, perché... perché...
      - Perché ho un amante? - chiese Geltrude con accento tragicamente ironico.
      - Non è il caso. Ma non saresti la prima, come non saresti la prima perdonata da un marito tradito.
      - Enrico, tu mi hai perduta!
      - No, ti ho trovata.
      - Celii? E non ricordi che mi giurasti di non vivere che per me, che di me, quando fosse rimosso l’ostacolo che ci divideva?
      - Sta bene. Ma l’ostacolo esiste, e per ora almeno, non è possibile toglierlo di mezzo. Né urge. Noi siamo felici anche così? Non possiamo continuare ad esserlo egualmente?
      - Felici? Ho creduto di poterlo essere ancora, ad onta...
      - Ad onta di che?
      - Ad onta di tutto. Ma la glaciale freddezza con cui mi accogli, con cui rispondi a colei, che ha tutto sacrificato per te... mi ha completamente delusa.
      - Parole! Parole! Benedette donne, se non chiacchierate, se non declamate, se non piangete...
      - Piangere io? Ascolta. Non ho pianto il giorno in cui seppi d’essermi data ad un uomo che non poteva sposarmi, non ho pianto stanotte quando mi decisi...
      - A fuggire da tuo marito. Sarebbe stato meglio che avessi versato quattro lagrime e ti fossi rappattumata con lui.
      - Vile! Codardo! Infame! - urlò Geltrude che era scesa dal letto e si andava rivestendo, movendo co’ pugni stretti verso Enrico, tuttora giacente.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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