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      - Monsignore l’ha detto.
      - Una grande sventura vi ha colpita; dunque? Siete forse vittima.....
      - Sì, vittima di una passione terribile, funesta, che mi ha tratto al delitto.
      - Al delitto? - domandò lentamente il fiscale, levandosi gli occhiali, ripulendone le lenti, e figgendo poi acutamente lo sguardo negli occhi di Geltrude.
      - Sì, monsignore, al delitto.
      - Una schietta confessione, diminuisce la gravità della pena e vi accaparra la grazia divina. Spiegatevi.
      - Ho ucciso mio marito.
      - Per gelosia forse?
      - No, per amore.
      - D’un altro?
      - Per l’appunto.
      - Complice quest’altro?
      - Ignaro di tutto.
      - Si può credere ad una donna, innamorata al punto di uccidere il marito...
      - Per toglierlo di mezzo e sposar l’amante? Parrebbe di no. Eppure è così.
      - Vedremo.
      - Lo vedete fin da questo momento.
      - Come?
      - Egli mi ha respinta, mi ha scacciata. Forse mi denunzierà.
      Giunta a questo punto Geltrude Pellegrini narrò al fiscale tutti i particolari del delitto e della scena che era seguita fra lei ed Enrico, nella casa di costui; ma non volle saperne assolutamente di declinare il suo nome o di dare qualche indagine sul suo conto. La segretezza più scrupolosa aveva sempre regnato ne’ loro rapporti e nessuna indagine avrebbe potuto scoprirlo. Ad onta della tremenda delusione patita, ad onta dell’oltraggio da lui ricevuto tale ella riteneva il disprezzo, che le aveva dimostrato, voleva risparmargli il dolore di coinvolgerlo nel processo. E fu irremovibile ed accorta.
      Il colloquio fra Geltrude e il fiscale, terminò coll’arresto della colpevole e col sequestro delle due valigie, che aveva portato seco.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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