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      Naturalmente queste cose le aveva dette a Pietro, fra un’amplesso e l’altro, fra un sorriso e una lagrimuccia, fra un piccolo bacio e un piccolo morso.
      E Pietro si affrettò a prometterle i duemila scudi; ma non li possedeva; per iscrivere a sua madre e farseli mandare, occorreva troppo tempo e per di più un pretesto molto ben colorito. Conosceva però un Giudìo, che prestava all’onesta tassa del 200 per cento, al quale non aveva mai ricorso prima di allora, ma di cui conosceva appuntino le abitudini. Uscendo da Lalla si recò diffilato da lui. Il Giudìo lo accolse, come se lo aspettasse da lungo, cordialmente, affabilmente, rispettosamente. Ma quando Pietro incominciò a toccare il tasto de’ quattrini, insorsero le mille difficoltà. Prima di tutto già non li aveva. Avrebbe dovuto ricorrere ad altri per trovarli e forse li avrebbe trovati; ma si sarebbe accontentato della semplice firma del Tagliacozzo? Lui avrebbe risposto per lui; ma quello là non prestava senza garanzia scritta. Egli il suo nome sulla carta non l’avrebbe posto per tutto l’oro del mondo.
      Pietro si impazientiva; ma il Giudìo implacabile continuava nella esposizione delle difficoltà.
      Intanto Lalla s’era svegliata dal lungo sonno, che aveva riparato le sue forze fisiche, estenuate dall’orgia della notte e si stirava le bellissime membra, come una giovane pantera che sente i primi impulsi dell’amore. Col capo circondato dalle candide braccia che gli facevano cornice, mentre lo sorreggevano, il turgido seno scoperto ed eretto, fra le finissime guarnizioni della camicia, le linee dense e morbide della persona guizzanti, pei suoi moti ferini, aspettava Pietro, sorpresa del suo ritardo.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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