Pagina (277/421)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Energica com’era, ricorse al sussidio di un esperto avvocato e colla minaccia di un processo penale per usura, riuscì a pagare i debiti di suo figlio, spogliati dagli enormi interessi che li avevano fatti crescere a dismisura. Quindi gli assegnò una pensione mensile, avvertendolo che all’infuori di quello non gli avrebbe dato un soldo di più. E quasi non bastasse chiese ed ottenne di farlo riporre sotto tutela, per modo che qualunque debito contraesse, fosse nullo. Così intendeva di assicurargli il patrimonio.
      Pietro non si accasciò di soverchio per tutte queste cose. Egli si sapeva amato da Lalla, o almeno ci credeva, e questo bastava a confortarlo delle privazioni alle quali avrebbe dovuto per qualche tempo assoggettarsi. Ma dubitava che Lalla si sarebbe del pari sottoposta ad una falcidazione delle spese che gli aveva accollate.
      Lieto quindi di essersi tolto dagli impicci, che lo avevano per parecchio tempo assediato, tornò a Roma, munito di un discreto gruzzolo di quattrini, strappati a sua madre col pretesto di metter casa del proprio per economizzare.
      Grandi accoglienze ebbe dalla sua tenera amica, la quale coi suoi bianchi dentini da sorcetto lo aiutò a sgretolare il peculio portato da Olevano. In breve si ritrovò colle mani vuote e dopo aver esaurita la condiscendenza di qualche amico, dovette rifare la strada che menava dal vecchio giudìo.
      Questi non appena lo vide montò su tutte le furie possibili,
      Lo trattò da straccione, da ladro, da assassino. Gli disse che gli aveva usurpato il frutto de’ suoi sudori e delle sue fatiche.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





Lalla Lalla Roma Olevano