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      Ma la stretta era troppo vigorosa.
      - Questa volta non mi farai cacciare dai tuoi servi, come sei mesi fa - disse sghignazzando l’assalitore.
      - Che, voi? - esclamò più sorpresa che sdegnata, la formosissima donna.
      - Io stesso, Cesare Abbo. Sfuggimi se puoi. Sarai ben mia.
      Le resistenze di Sofia, furono deboli, per non dir nulle. Le condizioni patologiche della donna erano favorevoli a quell’avventura arrischiatissima. Se è vero che tutte le donne hanno dei momenti nei quali sono di chi le piglia, doveva essere quello uno dei suoi momenti. I baci di Sofia non furono meno numerosi, né meno ardenti di quelli dell’audace assalitore, trasformatosi in cocchiere, corrompendo il vero cocchiere della signora, per raggiungere il proprio intento. Gioiva Sofia d’esser vittima di un innamorato della propria classe e non nella brutalità di un servo. La passione che aveva ispirato, solleticava inoltre il suo amor proprio. La forza amatoria dell’Abbo, compì il miracolo. Rientrando al suo palazzo era pazzamente presa dell’intraprendente suo amante; si pentiva della sua fierezza che le aveva rapito sei mesi di godimenti e si prometteva di ripagarsene ad usura.
      Giunto al convegno stabilito, Cesare Abbo rimise al vero cocchiere il cappello gallonato e il grande pastrano di livrea e si accomiatò da Sofia. All’indomani costei l’attendeva impazientemente nel suo gabinetto. Ma Cesare Abbo non vi si recò, né più mai si fece vedere. Il suo capriccio era esaurito.
      Quando una passione non ha potuto avere il suo svolgimento nei sensi di una donna questa ne soffre orribilmente, il suo carattere si altera e di leggieri si dà in balìa agli eccessi più mostruosi.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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