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      Così accadde a Sofia, la quale perduto il cocchiere finto si abbandonò al vero, che gli richiamava quella notte di piacere acre, ma delizioso. Man mano discese per tutti i gradi della depravazione e giunse a recarsi incognita ne’ pubblici lupanari, come Messalina, per godere dell’improvviso e dell’ignoto.
      Quivi si incontrò di nuovo con Cesare Abbo e dopo aver passato una notte con lui in quella casa infame, tornata a casa, si uccise con un colpo di pistola al cuore.
      LXXXIV.
      Il dissoluto si fa prete.
      Compromesso da una serie di fatti turpi Cesare Abbo, per non incorrere in guai maggiori, dovette lasciar Roma e lo stato pontificio. Dopo aver passato qualche anno soggiornando in varie città d’Italia, passò all’estero e finì collo stabilirsi a Parigi, dove, dato fondo fino agli ultimi resti della sua fortuna, aveva dovuto, per vivere, ricorrere alla sua cultura e trar profitto dalle sue cognizioni. Ammesso in una casa signorile in qualità di precettore diventò l’amante della madre, una donna sulla quarantina, tuttor fresca e piacente ed ebbe da lei dovizia di mezzi. Avrebbe potuto vivere tranquillo e felice, ma la sua sete insaziabile di godimenti sempre nuovi lo trasse a rovina. Insegnava italiano e musica alla figlia quindicenne della sua amante, leggiadrissima creatura, rosea e bionda come un cherubino e se ne invaghì. Non potendo sperare di sedurla le propinò una bevanda inebbriante, mentre la conduceva in villa e la violò. La fanciulla ne uscì gravida e Cesare Abbo dovette lasciar la casa, non solo, ma ben anco Parigi.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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