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      Nelle sfere superiori si era più corrivi e tolleranti. Ma a lungo andare lo scandalo, facendosi sempre più grave, si dovette richiamare sovr’esso l’attenzione del cardinale, perché provvedesse a farlo cessare, e questi ripetutamente ammonì lo zio, affinché tornasse a vita morigerata e tranquilla, almeno nelle apparenze.
      Sulle prime don Domenico Abbo si scusò, si disse vittima di bel nuovo della calunnia de’ suoi invidi, e promise di non offrir loro altri pretesti. Ma poi, sempre più imbaldanzito dai suoi successi, rispose al nipote arrogantemente, gli ricordò le turpitudini medicee e farnesi, e conchiuse che la Santa Chiesa, se sopportava l’onta di un cardinale eunuco, come lui, aveva ben diritto di essere compensato da uno zio del cardinale, capace di surrogarlo nelle sue deficienze.
      Il cardinale giudicò ormai necessario di liberarsi da quel sozzo prete, che disonorava così ignominiosamente il suo carattere e la casa che lo ospitava e decise di coglierlo in fallo, per giustificare le severe misure che aveva ideato di prendere contro di lui.
      Avvertito una notte che nell’appartamento dello zio doveva aver luogo una delle solite orgie, deliberò di assistervi e di piombare su Domenico Abbo, al momento opportuno, per cacciarlo dal palazzo, come nostro signor Gesù Cristo cacciò i mercatanti dal tempio.
      Se ne stava il sibarita cenando allegramente in compagnia di due baldracche ed era mezz’ebbro, quando il cardinale comparve sulla porta del salotto.
      - Benvenuto, nipote mio! - sorse a dire l’Abbo non appena lo vide, senza punto scomporsi: ce n’è anche per voi.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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