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      Ridotto al verde, cercò di intascare il patrimonio della moglie, ma questa, nauseata della sua condotta, si oppose con una energia della quale non la si sarebbe supposta suscettibile.
      Di qui, scene violente, terribili, minaccie e percosse.
      Cesarina, stanca di quella vita di continui strazi, ricorse alla sua famiglia, la quale rafforzata dall’appoggio di un esperto avvocato, fece chiedere ed ottenere una separazione.
      Serafino Benfatti ne parve soddisfatto e non si oppose menomamente, che sua moglie ritornasse a Perugia, per vivere co’ suoi parenti.
      A questa acquiescenza c’era però una ragione: il traviato aveva stretto una relazione amorosa con Maria Rossetti, giovane donna di temperamento sanguigno, che meglio si confaceva al carattere di lui. Erano due esuberanze fisiche che si equilibravano e compenetravano.
      Maria non era al suo primo amore, forse non era più neanche al secondo; ma, pur abbandonandosi completamente al Benfatti, senza ritegni e senza riguardi, non voleva saperne di mettersi con lui, e di vivere pubblicamente in concubinaggio, com’egli pretendeva.
      - Vieni a star con me - le diceva spesso in mezzo ai suoi trasporti amorosi - fammi felice del tutto: io ho bisogno di averti a fianco ad ogni ora del giorno e della notte.
      - Impossibile.
      - Perché, impossibile?
      - Lo sai pure.
      - Dillo.
      - Tu non sei libero. Hai una moglie...
      - Che ha voluto separarsi da me.
      - Non cessa per questo d’esserti moglie.
      - E lo credi giusto?
      - Non sarà giusto, ma è così. Io posso compatirti, compiangerti, anche amarti, come realmente t’amo, prodigarti la mia persona, come te la prodigo, ma non posso usurpare il posto che appartiene ad un’altra donna.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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