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      Cesarina era uscita a diporto, quando suo marito si recò da lei. Imbruniva, ed egli era penetrato nel giardino d’onde intendeva scivolare nell’appartamento della moglie non appena questa fosse rientrata, e di nascondersi per perpetrare nella notte il delitto.
      Maria Rossetti l’attendeva di fuori; avrebbe voluto entrar pur essa nel giardino e nella casa; ma Serafino si era opposto, temendo avesse a riuscirle più d’impaccio che di aiuto.
      Cesarina, non tardò guari a ritornare e ritornò sola. Entrò per la porticina del cancello del giardino e passò oltre nella prima camera del suo appartamento terreno, che su quello si apriva.
      Serafino Benfatti la seguì. Il momento non poteva essere più opportuno: tutto sembrava concorrere al buon esito della scellerata impresa.
      Ma mentre il marito entrava dietro di lei, Cesarina che era già penetrata nella seconda stanza ne uscì e si trovò a fronte di Serafino, il quale, alzato il coltello, di cui era armato, le lasciò piombare un colpo nel petto dalla parte del cuore.
      La disgraziata mandò un grido:
      - Assassino!
      E cadde riversa al suolo.
      Serafino Benfatti, invaso da un terrore invincibile, fuggì verso il giardino, sempre brandendo il coltello insanguinato.
      Quivi si imbatté con Maria che aveva attraversato il cancello. In quel mentre si vide rizzarsi, sulla porta di ingresso dell’appartamento, Cesarina, la quale, ferita soltanto leggermente, perché le stecche del busto avevano fatto deviare la lama del coltello, si era levata e teneva dietro al marito, che aveva riconosciuto.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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