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      - Per l’appunto.
      - Le conosco di lontana vista. Ma la ragazza mi pare una superba creatura.
      - Buona e bella.
      - Bella certamente; quanto al buona...
      - Me ne faccio io mallevadrice: è una perla, una colombella, un giglio di purità e di candore.
      - Chissà quali idee le frulleranno per il capo!
      - Idee savie e positive.
      - Lo credete?
      - Altro che crederlo! Lo so per certa scienza. È stata educata da una madre, che, non faccio per dirlo, è come me: severa, rigida, intransigente. Oh! non ha frasche per la testa, Tuta.
      - Si chiama Geltrude, lo so.
      - Compare! O m’inganno o le avete messo già gli occhi addosso.
      - Non posso dir questo. Ma la mi andrebbe.....
      - A fagiolo, non è vero? Lasciate fare a me; se vi piace me ne incarico io.
      - Sarà un buco nell’acqua. Una ragazza come quella vorrà un bellimbusto, un giovanotto elegante, per marito.
      - Se v’accerto di no. Voi siete un uomo nel fiore dell’età, robusto, gagliardo.
      - Sotto questi rapporti non temo rivali.
      - Avete de’ quattrini molti.
      - Grazie a Dio e la mia attività ho di che farmi lume sulla strada della vita.
      - Non avrete delle esigenze impossibili.
      - Per esempio?
      - Geltrude è stata allevata civilmente; le dorrebbe di dover mutar vestiti.
      - E chi glielo dice? Mi piace com’è. Perché dovrebbe mutarsi? Non sono gli scudi che mi mancano e vorrei coprirla d’oro e di gemme.
      - Oh! Non esigerà tanto perché il padre ha lasciato poco e questo poco è andato squagliandosi. Dote non ne ha.
      - Non ne cerco.
      - Quanto alla madre...
      - Se non le basta quello che le è rimasto, son pronto a farle un assegno.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





Tuta Geltrude Dio