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      Era stata sincera fino a quel momento, perché avrebbe cessato d’esserlo? Guardò negli occhi di Geltrude e gli apparve come una visione angelica, celeste. La sua mente non era mai arrivata a concepire tanta beltà. Le prese una mano candida e un fremito gli agitò tutte le fibre.
      - Geltrude! - le disse con tale accento di tenerezza che pareva una contraddizione col suo fisico - l’ami quell’uomo?
      - L’odio, lo detesto, vorrei immergergli un pugnale nel cuore colle mie mani.
      Così favellando la fanciulla mandava lampi dai corruscanti occhi neri, le sue labbra rosse erano agitate da un tremito, la sua fronte aveva formata una piega profonda, le martellavano le vene gonfie delle tempia, nella sua voce c’era tutta l’impronta della verità.
      - È noto il tuo errore ad altrui?
      - A mia madre sola.
      - È egli di Corneto?
      - No, è un viaggiatore di commercio, che capita qui due o tre volte al mese e non si trattiene mai più di quarant’otto ore.
      - Quando verrà?
      - Dev’esser qui... poiché v’ha scritto: è di suo pugno questa lettera infame, che vi ha rivelato la mia colpa.
      - Se l’uccidessi?...
      - Ti adorerei come un Dio! esclamò Geltrude, con uno slancio di passione, cingendogli il collo colle braccia ignude che uscivano dalle ampie maniche della vestaglia.
      Luigi a quel contatto si sentì inebbriato fino al delirio, strinse la bellissima donna poderosamente al petto e rovesciandole indietro la testa, le diede un lungo bacio sulla bocca.
      Quelle quattro labbra ardevano come braci.
      Poi repentinamente si svincolò dalla stretta, che Geltrude gli aveva corrisposto, dicendo risolutamente:


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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