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      Geltrude lo guardava impassibile, senza che un muscolo del suo volto tradisse la benché menoma emozione, senza che il colorito del suo bel viso ovale e delicato si alterasse di un punto.
      - Bisogna sbarazzarsi di questo cadavere, che potrebbe procurare delle noie alla giustizia e pur anco a noi.
      - Diamo il fuoco alla casina, il cadavere brucierà con essa e si crederà ad un fortuito accidente.
      - No: sarebbe pericoloso. La notte è temporalesca, soffia un vento indiavolato, l’incendio potrebbe dilatarsi e recar danni gravi, se non accorrono in tempo ad estinguerlo: se se ne accorgono prontamente e riescono a domarlo, si troverà il cadavere combusto, si cercherà il movente del delitto, si faranno delle indagini e forse delle scoperte.
      - Dunque?
      - È mestieri buttarlo a mare: è assai mosso e lo porterà chissà dove.
      Senza più, Luigi Finocchi si recò sulle spalle il cadavere di Arturo e uscì dalla porta; Geltrude spense il lume e lo seguì sbattendola leggermente, affinché il salicendi avesse ad alzarsi e rinchiuderla.
      Giunti al mare Finocchi si trasse dalle spalle l’assassinato, lo frugò, gli tolse la lettera che Geltrude gli aveva scritto il mattino, quindi lo sollevò sulle braccia e dopo averlo un po’ bilanciato per dar maggior vigore e più forte impulso al colpo, lo gettò nell’acqua. La donna, sempre imperterrita, dietro di lui, assisteva alla scena, resa più terribile dall’oscurità della notte.
      XCVI.
      Mutue confidenze ed espansioni.
      Arturo non si era recato a Corneto per affari, ma solamente chiamatovi dalla notizia del matrimonio di Geltrude e non aveva quindi con sé che una piccola valigia di oggetti personali.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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