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      Avrebbe voluto aprire la porta, lanciarsi sui perfidi e strozzarli entrambi colle proprie mani. Ma pronto gli sopravvenne un altro pensiero: denunziare il traditore e vendicarsi della moglie.
      Si allontanò rapidamente, ma senza usare le debite cautele. Il rumore dei suoi passi avvertì Geltrude. Si affacciò alla finestra prospiciente sulla strada, e vide Giggi uscir dal portone, senza cappello, correndo, come un pazzo.
      - Siamo scoperti: fuggi, - gridò al forestiero. Mio marito ci ha veduti abbracciati.
      - Fuggiamo.
      - Impossibile, io resto. Affronterò sola l’ira sua e lo placherò, aggiunse con un sorriso indefinibile.
      XCVIII.
      Patria e senso.
      Il cospiratore non si perdette in discussioni; gli premeva anzitutto di salvare la propria pelle. Seguì Geltrude che lo accompagnò fino al giardino, dietro la casa e gli insegnò la via della fuga, saltando un piccolo muro di cinta allo scopo di arrivare per altra strada alla marina.
      Intanto Luigi Finocchi giungeva alla polizia. Ma prima di varcarne la soglia, rifletté un istante e questo bastò per ritoglierlo dall’infame proposito.
      Ritornò sui suoi passi: aveva mutato decisione. Avrebbe ucciso il violatore della ospitalità accordatagli in sua casa come aveva ucciso il seduttore di Geltrude e l’avrebbe al par di lui buttato a mare. Dopo tutto la colpa era sua, poiché aveva messo il fuoco accanto al pagliaio. Egli non voleva perdere la moglie, rinunziare ai suoi amplessi. La morte dell’amante sarebbe stata sufficiente punizione per lei. Glielo aveva detto tante volte: chiunque tenti rubarmi le tue carezze morrà.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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