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      «Destò però la morte del Rivarola gran compassione e per lo strazio ricevuto dal carnefice e per essere stato veduto così malridotto portare sopra il palco, un uomo quasi morto, perché questa giustizia, conforme dissero alcuni, doveva essere fatta due o tre giorni prima. Ma il carnefice fu carcerato e pagò la pena della sua inesperienza. Molti degli astanti presero la spada ed il cappello e chi il ferraiolo ed alcuni sino la parrucca, quali cose furono calpestate e ritrovate per terra sulla piazza di Ponte; quietato il popolo essendo l’ora tarda, fu aggiustato il giustiziato in un cataletto, e come il solito portato processionalmente al luogo solito di San Giovanni Decollato, seguitato il cadavere da molta gente per conseguire l’indulgenza del Santissimo Pontefice».
      Santissimo davvero! Ma iniquo al pari della sua giustizia.
      Non si può figurare lo sdegno di Mastro Titta nell’apprendere dalla storia, i particolari orrendi di questa esecuzione, che parrebbe incredibile se non fossero stati consegnati nella relazione ufficiale, dalla quale abbiamo voluto riprodurla, senza aggiungervi, né frange, né chiose, né commenti, essendo di per sé stessa abbastanza eloquente.
      Giovanni Battista Bugatti fremeva di giustissimo sdegno e di legittimo orgoglio, ad un tempo, ricordando la propria perizia ed abilità.
      VII.
      Un’impiccagione colle maschere.
      Eppure non fu soltanto il supplizio del Rivarola che riuscì così straziante. Quando un condannato, dice l’Ademollo, moriva in carcere, la sentenza eseguivasi sul cadavere, ma, ad evitare quanto fosse possibile questo caso pei condannati in procinto di morte naturale, si affrettava il supplizio, e si mandavano al patibolo anche moribondi, facendoli portare in una sedia d’appoggio con stanghe da uomini mascherati e si tiravano sulle forche con girelle.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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