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      Diceva che erano matti, che Lui non doveva morire, perché era stato preso in Chiesa, che non era esaminato, e che non doveva avere altra pena, che quella assegnatagli dal SantOffizio; al qual effetto fu mandato a chiamare anche il P. Commissario per capacitarlo. Quando li Confortatori gli parlavano di conversione; gli rispondeva levatemi dal culo, e quando gli dicevano che Christo era morto per noi, per redimerci da’ peccati, rispondeva: Chi gli l’ha comandato? e diceva che S. Agostino haveva lasciato scritto, che di cento pazienti non se ne salvava uno, che però lo lasciassero stare che lui havrebbe lasciato il corpo al Boia e l’anima al Diavolo, per il che, vedutolo così ostinato, furno fatti venire altri Confortatori più provetti, ma tutto invano; fu chiamato il carnefice per vedere se si atterriva con fargli mettere la corda al collo, e li carboni alle mani, ma tutto invano, anzi, si stimò bene mettergli due manette, perché le prime le spezzò, furono mandati a chiamare li Religiosi, e particolarmente il P. Galluzzi Gesuita, al quale con l’aiuto del Signore riuscì convertirlo verso le ore 16, intese la sua Messa e si communicò. Finalmente, prolongata più di due ore la giustizia, uscì dalle Carceri ad ora di mezzogiorno, e fu strascinato sopra la carretta, perché si era indebolito, et è da considerarsi, che appena haveva spuntata la barba, e la mattina l’haveva più longa di un dito. Andiede al patibolo con li P. P. Gesuiti predetti a piedi avanti la carretta, e dietro andavano due mascherati con maschere di traccagnino, et abito da pulcinella inferraiolati con girelle e corde sotto per tirarlo sopra il patibolo, se bisognava.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421

   





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