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      In quel momento il torturato soffre orribilmente, perché il peso del corpo disloca le spalle e gli rompe le braccia al di sopra del capo. Egli deve rimanere in siffatta posizione un’ora, e menoché non cada in uno stato di debolezza, dichiarato pericoloso dai medici, o che per la confessione della sua colpa e la promessa di ratificare la confessione stessa fuori dei tormenti, i giudici non abbrevino la durata del supplizio.
      Ci sono stati pur non dimeno degli imputati, e ne fui io medesimo testimonio, che si beffarono della tortura, dei giudici e dei testimoni, perché erano così ben preparati che provavano poco o nessun dolore. Bisogna però avere per ciò delle reni molto gagliarde. Un tale, sentendo il bargello che lo teneva sollevato, abbandonare la corda fece uno sforzo per modo che riuscì a collocarsi colla testa in basso e i piedi in alto, senza dislocazione delle spalle e per tal modo soffriva poco o punto. Tuttavia sudava molto e di quando in quando emetteva de’ gridi, per farsi credere straziato. Così potè rimanere sospeso per un’ora senza confessar nulla. I giudici compresero che erano stati gabbati e dissero al bargello che egli aveva aiutato il paziente a prendere quella posizione. Il bargello rispose che egli aveva fatto onestamente il suo dovere e si lagnò d’essere stato sospettato d’avervi mancato. L’ora era intanto passata e si dovette distaccarlo, né molto si ebbe a fare per rimettergli a posto le braccia poiché non erano state slogate. Io credo che quel galantuomo avesse imparato il suo mestiere da un bravo maestro.


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Mastro Titta il boia di Roma
Memorie di un carnefice scritte da lui stesso
di Anonimo
pagine 421