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      E come altrimenti? Una terribile necessità la costringeva. La verità non sarebbe stata un suicidio sulle sue labbra? Disse bene chi paragonò la vita ad una bottoniera: a chi sbaglia il primo occhiello conviene sbagliarli tutti. E del resto ha poi tanta colpa la donna d'essere finta, quando lo è? Non vive essa continuamente in un'atmosfera di pregiudizii, di false convenienze, e di ipocrisie? Quante volte la madre non ripete a sua figlia che per saper vivere bisogna nascondere le piú ingenue emozioni; dissimulare le impressioni piú innocenti; star seria quando si avrebbe voglia di ridere; ridere quando si avrebbe voglia di star seria; alzar gli occhi e guardar in viso a della gente antipatica; abbassarli e non guardare quando importerebbe tanto di vedere? E guai a lei se coraggiosa s'attenta di violare questi precetti; guai a lei se si dà a credere di poter essere schietta impunemente!
      Dopo ciò lamentiamoci se la donna ha imparato a mentire!
      Ma Noemi non sapeva mentire francamente. Un'impostura, una sfacciata menzogna, nessuna forza, nessun pericolo al mondo sarebbe stato capace di strappagliela dalle labbra. E quando suo marito, quasi fuor di sé, le stese la mano, perché ella vi giurasse sopra che lo amava ancora, e che l'avrebbe sempre amato, ella - che con una sola parola avrebbe potuto distruggere ogni di lui sospetto - non pensò neppur per ombra, non le passò neppur la tentazione di pronunciarla.
      Nondimeno da quella stretta bisognava pur guizzarne fuori in qualche modo.
      Allora, gettandosi indietro nella sua sedia, come donna assalita da invincibile ilarità, diede in un sonoro scoppio di riso, sclamando:


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La scapigliatura e il 6 febbraio
di Cletto Arrighi
pagine 243

   





Noemi